Riflessioni sull’Esortazione Apostolica “Dilexi te” di Papa Leone XIV
«Il piccolo non è piccolo a chi non l’ha» sussurra il mio cuore mentre rifletto sulla Dilexi te di Papa Leone XIV. Anche i semplici gesti rivelano qualcosa di grande. Nessun gesto di affetto, neanche il più piccolo, sarà dimenticato, specialmente se rivolto a chi è nel dolore, nella solitudine, nel bisogno: «…Chi soffre sa quanto sia grande anche un piccolo gesto di affetto e quanto sollievo possa recare» (DT 4). Nella nuova Esortazione Apostolica possiamo contemplare il modo in cui Gesù si identifica «con i più piccoli della società» e come, col suo amore donato sino alla fine, mostra la dignità di ogni essere umano, soprattutto quando «più è debole, misero e sofferente» (DT 2).
Bisogna riconoscere l’indifferenza di buona parte dell’umanità sulla questione dei poveri. C’è una terra assetata che attraversa il nostro tempo e il nostro mondo, un mondo frustrato, in crisi, che cambia il bianco in nero e arriva a giustificare il nero. È la terra dei cuori inariditi dall’indifferenza delle periferie abbandonate, delle strade dove l’uomo “passa oltre”, incapace di riconoscere il volto di Dio in quello del povero. Eppure, proprio lì, nel deserto della nostra società che consuma ma non ama, si nasconde un tesoro dimenticato, quello dei poveri, che Dilexi te ci invita a riscoprire come centro vivo e vivificante per la missione della Chiesa.

Papa Leone XIV, sulla scia del suo amato Predecessore, con parole semplici ma appassionate ricorda che i poveri non sono un problema da risolvere ma un mistero da accogliere: sono sacramento della presenza di Cristo. Nel loro dolore, nella loro resistenza, nella loro fede silenziosa, si manifesta l’amore di un Dio che ha scelto la povertà per rivelare la sua ricchezza. Dilexi te non parla di un amore astratto, ma di un amore concreto e incarnato, un amore che tocca le ferite, che si lascia ferire, che riconosce nei poveri non solo i destinatari, ma i protagonisti dell’annuncio e dell’azione ecclesiale.
La terra assetata è anche la nostra Chiesa quando dimentica il suo tesoro, quando si chiude nella sicurezza delle sue strutture, quando preferisce parlare “dei poveri” piuttosto che “con i poveri”, disperdendo la linfa del Vangelo. Abbiamo riconosciuto il tesoro che sta dietro al grido dei poveri? O abbiamo chiuso le nostre orecchie, anche quelle del cuore? Chi o cosa c’è al centro della nostra missione? Sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo. Egli non si stanca mai di ammonirci: «…perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e non mi avete visitato…» (Mt 25,41-44). Come ricorda il Papa, la povertà evangelica non è un ideale romantico, ma una condizione di libertà: solo chi è povero sa riconoscere la dipendenza da Dio e sa annunciare il suo amore senza possederlo.

I poveri, scrive Dilexi te, ci evangelizzano. Sono maestri di fede, di speranza e di fraternità. Nelle loro mani vuote impariamo che tutto è dono, che la vera ricchezza è la comunione, che la missione non è potere ma servizio. In loro, la Chiesa ritrova se stessa, perché una Chiesa povera è una Chiesa credibile, capace di parlare al mondo con la lingua dell’amore. Ma per ritrovare questo tesoro bisogna scavare, bisogna entrare nelle ferite del mondo, accettare di bagnarsi di lacrime, di sporcarsi le mani, di camminare accanto a chi non conta. È un cammino di conversione: personale, comunitario, ecclesiale. È lasciare che il povero diventi la nostra bussola, la nostra memoria, la nostra profezia.
E allora la terra assetata può rifiorire. Quando la Chiesa si china su chi è dimenticato, quando restituisce voce agli ultimi, quando mette al centro non l’efficienza ma la misericordia, allora l’acqua del Vangelo torna a scorrere. Il tesoro dimenticato torna a brillare e la missione diventa davvero ciò che deve essere: un atto d’amore che rigenera la terra. Un tesoro dimenticato nella terra assetata è il grido e la promessa che attraversano la prima Esortazione Apostolica di Papa Leone XIV. Dio non smette mai di amare il mondo attraverso i poveri, e la Chiesa non può smettere di cercarli, di ascoltarli, di camminare con loro, facendo così la missione tornerà ad essere sorgente d’acqua viva nel deserto dell’umanità. Upendo hushinda yote.
Theogenes Madushi








